L’Analisi

Un accordo senza illusioni, basato sugli interessi reciproci

di Alberto Negri

Data pubblicazione: 8 aprile 2015

L’Iran è un Paese assai pericoloso, come quasi tutti quelli del Medio Oriente. Lo sono quando sono potenti e anche quando crollano. Gli stati della regione, almeno quei pochi sfuggiti al caos e alla disgregazione, seguono logiche etniche, religiose e settarie: si dimostrano, a volte, ragionevoli soltanto quando i capi difendono interessi strategici come la sopravvivenza. E neppure questo è vero per tutti: ci sono leader che sanno fermarsi prima del baratro, altri come Saddam Hussein o Gheddafi che vanno fino in fondo. Non a caso sono stati giustiziati: il primo sulla forca dagli sciiti iracheni, il secondo in maniera più barbarica dai thuwar, i rivoluzionari libici.

L’Iran è coinvolto in almeno tre guerre regionali, in Siria, Iraq, Yemen, e sostiene finanziariamente e militarmente organizzazioni come Hezbollah e Hamas. Con il crollo dei prezzi del petrolio e le sanzioni anche la cosiddetta “economia della resistenza” mostrava la corda. La logica degli interessi vitali ha quindi spinto la leadership allo sforzo “eroico”, come direbbe la Guida Suprema Alì Khamenei, per raggiungere un’intesa destinata a farsi togliere la gabbia sanzionatoria che soffoca l’economia e rischia di ridimensionare l’influenza regionale dell’Iran in una sfera essenziale per il regime degli ayatollah.

La controprova si è avuta quasi subito. Appena si è firmato l’accordo, il presidente turco Erdogan, che pure detesta gli ayatollah sciiti e lo ha detto persino alla vigilia del suo viaggio in Iran, è andato a Teheran per rinsaldare i rapporti economici: il gas iraniano, in concorrenza con quello russo e azero, gli serve per fare del suo Paese un hub strategico dell’energia diretta in Europa.

L’accordo di Losanna è buono o cattivo? Il giudizio è ovviamente differente a seconda dei punti di vista. Per il Cinque più Uno sì, perché ha dato soddisfazione alle misure prese dalla comunità internazionale e ha sospinto l’Iran verso un’intesa, per altro ancora da scrivere, che riduce considerevolmente, sulla carta, le sue potenzialità nucleari. E’ chiaro che Teheran non abbandonerà mai del tutto il nucleare e mantiene la possibilità di arricchire l’uranio in futuro, quindi i controlli internazionali dell’Aiea sono fondamentali per tenere d’occhio le mosse della repubblica islamica.

L’Iran, firmatario di quel Trattato di non proliferazione che aveva violato 13 anni fa, dal punto di vista degli Stati Unti, della Russia della Cina e degli altri membri permanenti del Consiglio di Sicurezza è anche l’unico successo che il Club atomico può vantare nel disarmo. Le armi nucleari non sono diminuite e forse neppure l’accordo di Losanna ferma la corsa all’atomica in Medio Oriente. Insomma Teheran è un perfetto diversivo per coprire i pericoli che corre un mondo dotato di armi atomiche e con nazioni che non fanno parte del Club, da Israele, all’India, al Pakistan. Maschera inoltre una situazione quasi dimenticata e che aveva agitato non poco la comunità internazionale: la Corea del Nord. Ma c’è dell’altro e di peggio. In alcune regioni, come in Pakistan, la debolezza dei governi fa aumentare il pericolo che armi nucleari finiscano in mano a organizzazioni non statali. Ma chi controlla il Pakistan?

Non siamo messi bene. Barack Obama nel 2009 aveva promesso un mondo senza armi nucleari e l’unica vittoria che può vantare è questa con l’Iran. Quindi per ora la difende anche di fronte ai suoi alleati come Israele che teme lo sdoganamento degli ayatollah. Fa bene a preoccuparsi perché l’Iran, che ha resistito all’attacco dell’Iraq negli anni’80 e ha allargato la sua influenza regionale da Baghdad al Libano, dall’Afghanistan alla Siria alla penisola arabica, è l’unico Paese del mazzo che può fargli seriamente concorrenza: gli altri stanno in piedi o fanno la voce grossa perché c’è la Nato (Turchia), perché qualcuno paga i conti (i sauditi in Egitto) o viene protetto dagli Usa (le petromonarchie del Golfo).

Ma se un concorrente è pericoloso e non lo puoi abbattere, perché lo hanno “denuclearizzato” come si legge sui cartelli stradali delle nostre amene cittadine di provincia, bisogna farsene una ragione e trovare con lui un accordo. Come ripeteva Henry Kissinger, “le nazioni non hanno amici o nemici permanenti ma soltanto interessi”.

Questa analisi è stata realizzata per la CIPMO Newsletter dell’8 aprile 2015

NOTE SULL'AUTORE 

Alberto Negri

Alberto Negri è stato inviato speciale per "Il Sole 24 Ore" per il Medio Oriente, l'Africa, l'Asia centrale e i Balcani dal 1987 al 2017. Come corrispondente speciale, ha coperto la maggior parte dei principali eventi politici e di guerra degli ultimi 30 anni, dalla guerra Iran-Iraq all'Afghanistan (1994-2001-2015), dalle guerre dei Balcani a Sarajevo, Kosovo, Croazia, Serbia, a Baghdad 2003, dall'Algeria 1991 alla Siria 2011-2016, dalla Tunisia 2011 al Cairo e Tripoli 2015, la Turchia per 25 anni. In Africa ha coperto il Sudafrica, il Mozambico, l'Eritrea, l'Etiopia, la Somalia, il Kenya, il Senegal, il Mali, la Mauritania, il Marocco. Nel 2007 ha vinto un premio nazionale come reporter di guerra, nel 2009 ha vinto il premio giornalistico internazionale "Maria Grazia Cutuli", nel 2015 il premio "Colombe per la pace". È autore di saggi e libri. Il suo ultimo libro "Il musulmano errante. Storia degli alauiti e dei misteri del Medio Oriente" è stato premiato con il Premio Capalbio.

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