Data pubblicazione: 9 novembre 2009
Ancora una volta non hanno avuto risultato gli sforzi dei mediatori egiziani per ricucire la lacerazione interpalestinese. I rappresentanti delle diverse fazioni non sono riusciti a sanare la ferita aperta nel giugno del 2006, quando dopo la vittoria di Hamas si è arrivati alla creazione di due stati palestinesi, quello di Gaza nelle mani di Hamas e quello cisgiordano gestito da Fatah. Nel corso degli ultimi tre anni numerosi sono stati i tentativi diplomatici volti a risanare la situazione. Sauditi prima, yemeniti dopo, ma fino ad ora nessuna operazione è andata a buon fine. Gli stessi egiziani ci stanno provando da tempo, ma la complessità dell’impresa non gli ha permesso di raggiungere un successo definitivo.
Questa volta la motivazione addotta da Hamas per non firmare l’accordo è stato il comportamento del presidente Mohammed Abbas, alias Abu Mazen, sul rapporto Goldstone, che descrive il comportamento di Israele e Hamas durante la guerra di Gaza come responsabile di crimini di guerra contro l’umanità. Accettando di rinviare la discussione all’ONU su di esso, Abbas ha ulteriormente indebolito la sua immagine, fornendo alla organizzazione islamica un’ottima occasione per attaccarlo.
In realtà nessuna delle due parti voleva davvero arrivare a un accordo, sentito come una sorta di matrimonio forzato e per procura, visto che il contratto di riconciliazione è stato spedito dall’Egitto in duplice copia, una a Gaza e uno a Ramallah.
Fatah, che incontra crescenti difficoltà nell’opinione pubblica palestinese, ha deciso di firmare comunque la proposta del Cairo, per non passare come responsabile del fallimento. Inoltre, a spingere Abbas alla firma sarebbero stati anche gli Stati Uniti: secondo quanto riportato dal quotidiano giordano al-Ghadd, il presidente Obama avrebbe chiamato direttamente Abbas, per assicurarlo del sostegno sia degli Stati Uniti, quanto dell’Unione Europea, per mettere Hamas in un angolo, in occasione della prossima tornata elettorale, prevista nella proposta egiziana per giugno.
Anche Hamas, pretendo a pretesto il caso Goldstone, voleva temporeggiare, per non aiutare Abu Mazen a salvare la sua reputazione, e per cercare di crearsi un terreno ancora più favorevole. Inoltre, l’organizzazione islamica vedeva male la possibilità che, in base a quanto previsto, il Presidente palestinese potesse riaffermare il suo controllo su Gaza.
Il rifiuto di Hamas ha dato modo ad Abu Mazen di emanare il decreto, nel quale si convocavano le elezioni per il prossimo 24 gennaio. Elezioni alquanto problematiche, perché quasi sicuramente esse si terrebbero esclusivamente in Cisgiordania. Secondo Hussam al-Dajni del Palestine Times, a questo punto Hamas potrebbe boicottare le elezioni in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, e impedirle nella Striscia di Gaza. Questo non farebbe altro che acutizzare la divisione interna al paese, allontanare sempre di più Gaza da Ramallah e rendere più problematica la soluzione della questione palestinese.
Dalla sua cella anche Marwan Barguhouti, importante figura all’interno del comitato centrale di Fatah, ha sentito il dovere ribadire che l’unità nazionale è indispensabile per il successo della lotta di liberazione palestinese. In una intervista rilasciata la settimana scorsa al quotidiano Al-Sharq al-Awasat, Barghouti ha sottolineato che “la strada per l’indipendenza nazionale passa attraverso il processo di riunificazione interpalestinese e la riconciliazione è il primo passo necessario da compiere.” Differenziandosi dal presidente Abbas, egli ha insistito sull’importanza di tenere le elezioni su tutto il territorio palestinese.
Queste elezioni insomma preoccupano un po’ tutti, non per ultimo lo stesso Abu Mazen, che ha telefonato al Presidente Obama, dichiarando di non voler presentare la sua candidatura, dato che Israele rifiuta di garantire il congelamento totale degli insediamenti, ed ora anche gli USA paiono mitigare la loro posizione su tale questione, come dichiarato da Hilary Clinton nella sua recente missione, che ha profondamente irritato palestinesi e arabi. Tali dichiarazioni, contraddicendo le proposte presentate da Obama al Cairo, non hanno fatto altro che indebolire ulteriormente la figura del Presidente palestinese, che diventa ogni giorno più isolato e impopolare.
NOTE SULL'AUTORE
Azzurra Meringolo
Ricercatrice associata dell'area Mediterraneo e Medio Oriente dell'Istituto Affari Internazionali, dove si occupa di mondo arabo concentrando la sua ricerca soprattutto sull'Egitto e dirigendo la collana Insight Egypt. È membro del comitato editoriale di AffarInternazionali, di cui è stata caporedattrice. È dottore di ricerca in Relazioni internazionali e, da anni, giornalista professionista in Medio Oriente. Collaboratrice di testate nazionali e internazionali, è coordinatrice scientifica della rivista Arab Media Report e conduttrice di Radio 3 Mondo (Rai3). Docente a contratto all'Università Roma Tre, dove tiene un corso sui media arabi, è membro del comitato scientifico di WIIS Italia, di cui è anche fondatrice. Nel 2012 ha vinto il premio giornalistico Ivan Bonfanti e la sua tesi di dottorato sull'antiamericanismo egiziano si è aggiudicata il premio Maria Grazia Cutuli. Nel 2013 si è aggiudicata il premio di scrittura Indro Montanelli con I ragazzi di piazza Tahrir e nel 2014 il premio Franco Cuomo International Award per la sezione saggistica.
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